L'Islanda è una terra

L'Islanda è una terra che non ha bisogno di molto per esistere

L'Islanda è una terra che non ha bisogno di molto per esistere.
 
Essenziale nella propria semplicità, si presenta con le sue interminabili distese brulle e deserte, dove anche l'uomo cede il passo e lascia spazio alle onnipresenti pecore selvatiche, e quasi sempre al vuoto più assoluto.
 
E' su questo paesaggio che il silenzio si distende, irremovibile, fermo.
 
Si inserisce tra le sottili nebbie lasciate dal momentaneo sospendere della pioggia e la terra umida, aleggia nelle valli coperte di erica, sale lungo i pendii scoscesi, scivolando sulle distese sterminate di muschio verde smeraldo, si sofferma nei fiordi solitari, riposa assoluto sui ghiacci eterni.
 
L'aria è più trasparente in Islanda. Nelle giornate soleggiate il cielo è sempre di un azzurro intenso, profondo, come qui da noi si vede solo nelle giornate successive alle tempeste di pioggia e vento. Sarà per la totale assenza di inquinamento, piccola isola esiliata a migliaia di chilometri dal resto del mondo, o forse per la diversa inclinazione con cui i raggi solari accarezzano l'atmosfera di questa terra a cavallo del circolo polare.
 
E' forse grazie a questa limpidezza che in Islanda ho visto tramonti unici, irripetibili altrove, ho visto il sole pitturare tutto l'arco del cielo di rosa e di arancione, e le mille nuvole basse rifrangere tutte le tonalità di colore sulle altre nuvole, sulle mille pozzanghere e i mille rivoli d'acqua che attraversano per ogni dove queste lande.
 
Non penso che esista un altro paese così ricco di acqua in tutte le sue forme, ruscelli montani che scivolano giù dai monti, placidi fiumi di pianura, cascate impetuose che rombano in mezzo alla vegetazione, pioggia finissima in sospensione nell'aria, ghiacciai sterminati che spingono le loro lingue fino a precipitare nel mare, distaccando iceberg che nelle giornate di sole si riflettono sulla superficie su cui galleggiano. E poi l'eterna lotta dell'acqua con il fuoco, i vulcani che borbottano sottoterra e talvolta esplodono, magari coperti da una spessa superficie di ghiaccio, fondendolo in pochi secondi e riversando chilometri cubi (chilometri cubi) di acqua verso valle, devastando tutto quello che incontra nella sua strada verso il mare con un'onda alta trenta metri.
 
E ancora deserti sassosi di sabbia rossa solcati da strade sterrate che sembrano non portare da nessuna parte, colate di lava sedimentata in millenni di eruzioni, e solidificata nelle forme più bizzarre, erose dal tempo e dalle intemperie, laghetti di acqua calda sul fondo dei crateri più recenti, geyser che eruttano ogni pochi secondi con spruzzi alti come un palazzo, vallate intere coperte di muschio a perdita d'occhio, tanto spesso da fare affondare fino alla caviglia il piede che lo calca.
 
Chi viaggia da solo trova sempre compagni di viaggio, confidenti, amici. Si sente maggiormente il bisogno di stringersi intorno al calore umano, in questa terra dura e fredda. Nell'alienazione di una fabbrica di lavorazione del pesce gli uomini si fanno più solidali, nei disagi di un pernottamento all'addiaccio si stringono amicizie destinate a durare una vita, in poche ore di marcia sotto la pioggia si impara di una persona più di quanto non si possa mai conoscere il collega di scrivania dopo due anni.
 
Quando ci siamo imbarcati sul traghetto per l'Europa, a Siglufjord, abbiamo ripensato a tutte le cose splendide che avevamo visto in questo paese, e agli animali che vivono solo qui, i delfini dal muso bianco che giocano nella baia di Husavik, le foche distese a prendere il sole sui ghiacci di Jokulsarlon, la volpe artica che una sera ci attraversò la strada studiandoci con curiosità, le pulcinelle di mare che ad agosto affollano le scogliere di Dyrholaey, e il fortissimo rimpianto di non essere riusciti a vedere le balene.
 
E invece, solo pochi minuti dopo aver lasciato il molo, con la prua rivolta verso le isole Far Oer, eccole finalmente, le maestose megattere, raggruppate in un branco da cinque o sei, ciascuna grande come il nostro battello, imperturbabili nella loro placida navigazione verso nord, spinte da chissà quale istinto o richiamo, e la loro pinna dorsale che riluccica sotto i primi raggi del sole è l'ultima immagine che mi sono portato dietro dall'Islanda.
 
Due giorni dopo, al momento dell'addio con gli amici di questa esperienza, quando sembrava che tutte le emozioni fossero finite, passeggiando per la campagna tedesca, una cassetta abbandonata con dentro quattro figure pigolanti, quattro cuccioli abbandonati con una ciotola di latte ormai vuota, destinati a sicura morte. Quattro paia d'occhi che imploravano cibo e affetto. E' stata questione di un attimo scambiarsi uno sguardo e prendere la decisione: due a Silke e due a me, è stato un attimo infilarli nello zaino ormai vuotato dai viveri portati dall'Italia, e in capo a ventiquattr'ore erano sani e salvi a Grottaferrata, ospiti di una famiglia che darà loro tutto l'affetto di cui hanno bisogno.
 
Islanda e Lubecca da due mesi hanno preso possesso della loro nuova casa e sono i cani più felici del mondo, il ricordo più bello che mi rimane di questa vacanza.