Padaneide 1995

Diario della traversata


Questa è la cronaca della traversata della pianura Padana da Castelnuovo Rangone (MO) a Colombare (BS) effettuata in bicicletta il 24.VII.1995 da Marco Piana e Claudio Ferola.
Tutto quello che è qui raccontato è successo realmente, senza alcun abbellimento. Questa è una storia vera.


 
La sveglia suona che fuori è ancora buio. Frensis che dorme in stanza con me si sveglia anche lui, mugola qualche parola incomprensibile e si riaddormenta. Ha passato tutta la notte a combattere contro le zanzare, e d'altronde non c'è motivo che si alzi prima di un paio d'ore. Scendo le scale silenziosamente, Claudio si tira su dal divano in pochi secondi. Anche lui non deve aver dormito molto bene. La nostra colazione consiste di qualche biscotto e un bicchiere di latte. Una confezione di biscotti ancora chiusa lo lasciamo agli altri tre, io appendo al mio portapacchi il sacchetto con dentro quelli avanzati, mi dureranno quasi fino a Mantova, sbocconcellandoli di tanto in tanto. Stringiamo bene i nostri zaini sulle bici, controllando che le corde elastiche siano ben salde. Tutto il peso della mia roba grava sul perno della ruota posteriore, Claudio è più fortunato e ha potuto infilare qualcosa nella sacca davanti al manubrio. Il pensiero che le biciclette possano subire un danno più grave di una foratura ci sfiora appena lievemente, confidiamo nella fortuna e nei centri abitati che troveremo lungo il percorso per eventuali riparazioni.
 
Ricordo bene l'ora in cui ci siamo messi in viaggio, le cinque e quaranta. Le prime luci dell'alba di quell'indimenticabile ventiquattro luglio; il freddo mi consiglia, prima di arrivare alla fine dello stradello, di infilare una felpa sopra la mia leggera canottiera azzurra. L'allenamento non ci manca, pieni di entusiasmo percorriamo la dozzina di chilometri fino a Modena tenendo i 27-28 di media, è un piacere pedalare sulle strade deserte, immersi nelle foschie brumose che vanno rapidamente dissolvendosi ai primi raggi solari.
 
Giunti sulla circonvallazione, il primo problema: trovare l'imbocco della statale per Carpi. Il primo tentativo lo facciamo fidandoci del nostro senso di orientamento, e finiamo nel parcheggio di una fabbrica. Chiediamo ai rari passanti, ma ci vuole un'altra manciata di chilometri lasciati inutilmente sulla strada prima di infilare finalmente la direzione giusta. La statale 413 a quell'ora è percorsa quasi esclusivamente da grossi camion che fanno la spola tra i due centri per rifornire fabbriche e negozi prima dell'inizio della giornata lavorativa. Un'altra ventina di chilometri senza soste, i muscoli rispondono bene e i pantaloncini foderati di gommapiuma sopra il sellino fanno il loro dovere.
 
Arriviamo a Carpi che qualche bancarella al mercato sta già aprendo. Ci concediamo una sosta per sbocconcellare qualche biscotto e abbeverarci a una fontanella. Abbiamo percorso più di un quinto di strada, e finora sembra andare tutto a gonfie vele. Io mi tolgo la felpa e la infilo di nuovo dentro il vecchio e sbrindellato zaino militare. Ripartiamo, seguendo la strada che fila dritta come un fuso in direzione nord, seguendo le indicazioni per Mantova. Ci accorgiamo solo ora che nella confusione della partenza abbiamo lasciato al Cantone la fotocopia della pagina della cartina stradale relativa a questa seconda parte del viaggio. Le indicazioni per Mantova sono l'unica nostra guida, ma per fortuna fino ad ora non ci si sono presentati problemi. L'unico nostro rimpianto è essere costretti in questo modo a seguire le strade più trafficate, invece di poterci infilare per stradine di campagna dove potere pedalare affiancati e scambiare quattro chiacchiere.
 
Così il nostro viaggio si svolgerà per lo più in silenzio, e quando 'tira' Claudio mi trovo a fissare per interi minuti il mozzo della sua ruota posteriore che lui ha avvolto con un nastro con i colori della bandiera italiana. Per preservarlo dalla ruggine dice, ma a me viene da pensare alla nostra idea di dedicare un paio di giorni durante la vacanza al Garda per arrivare al Brennero, e vedere come è fatta l'Austria percorrendone qualche chilometro in bicicletta tra le montagne. Era questo il motivo ufficiale per giustificare la nostra traversata della pianura Padana in bici, per risparmiare sulla percorrenza in treno, di cui ognuno di noi aveva a disposizione milleduecento chilometri con il biglietto chilometrico. Non c'è bisogno di dire che il vero motivo di questa impresa era misurare il nostro coraggio, la nostra forza e la nostra volontà, per vedere se davvero avevamo dei limiti. Avevo con me la carta stradale dei duecentocinquanta chilometri che avremmo dovuto percorrere per arrivarci (il ritorno l'avremmo potuto fare anche in treno), e l'idea di attraversare la dogana in sella a una bicicletta ci attirava particolarmente. Claudio aveva portato con sé anche la tenda, proprio in previsione di questo progetto. Ovviamente al Brennero non ci siamo mai andati, ma è stato bello pensarci in quei giorni.
 
Un'altra quindicina di chilometri prima di varcare finalmente il confine tra l'Emilia e la Lombardia. è più o meno da queste parti che finisco di bermi la marmellata di albicocche che alla partenza a Grottaferrata la mamma mi aveva versato nella borraccia. Era un liquido denso, che andava quasi masticato prima di essere inghiottito, ma c'aveva dentro una potenza dirompente, calorie sufficienti a portarmi fino a qui e anche oltre, se solo fosse durato un po' di più. E quando, dopo ore sotto il sole, la borraccia diventava rovente, la marmellata all'interno riacquistava un po' della sua fluidità, e andava giù meglio. A malincuore mi devo fermare alla prima fontanella e rabboccare la borraccia con volgare acqua fresca, ma un retrogusto dolciastro di marmellata rimarrà per settimane.
 
Ora che la spinta propulsiva iniziale si è esaurita, la stanchezza comincia a farsi sentire. A Mòglia ci accordiamo per un'altra sosta: ormai basta guardarci negli occhi per leggervi la stanchezza. Eppure non siamo nemmeno a metà strada. Acchiappo il sacchetto spenzolante dal portapacchi e ci facciamo fuori gli ultimi Tarallucci. Entra in vigore la tacita regola di dieci minuti di sosta per ogni ora di pedalata, le gambe ancora girano e l'entusiasmo rimane, ma il solo pensare al tragitto che ancora ci attende ci spegne gli incitamenti sulle labbra.
 
Subito dopo passato Gonzaga noto che la mia ruota posteriore è alquanto sgonfia. Ci fermiamo per qualche secondo a gonfiarla, scopro anche che il freno tocca lievemente il cerchione anche se non è tirato. è il cerchione che si è un po' storto. Non me ne curo più di tanto, ma una certa inquietudine rimane. Per un po' lascio di nuovo tirare Claudio, invidio la sua robusta city bike che non gli ha mai dato problemi da quando l'ha comprata. Continua a macinare chilometri senza il minimo segno di cedimento, mentre la mia vecchia bici da turismo comincia a emettere sinistri rumori. è già successo altre volte, ma confido che possa resistere per qualche altra decina di chilometri.
 
Ci avviciniamo sempre di più al Po, il re dei fiumi, si parlava di farci una foto dal ponte mentre lo attraversiamo, ma quando ci arriviamo davvero il paesaggio si rivela una delusione, il ponte è una strada a quattro corsie e dobbiamo anche affrettarci a superarlo per non essere travolti dalle automobili che sfrecciano a cento all'ora. Non abbiamo nemmeno bisogno di consultarci per decidere che non merita nemmeno una foto. Poche centinaia di metri dopo vedo Claudio accostare sulla sinistra: ha scovato una bancarella semi nascosta al bordo della strada, e compriamo un sacchetto di prugne. Alcune le mangiamo subito, il resto va a prendere il posto dei tarallucci, appeso al mio portapacchi.
 
La nostra prossima meta ormai è Mantova, che è situata già oltre la metà del percorso. Qualche chilometro prima di arrivare in città attraversiamo un paese, Virgilio. Al lato della strada c'è un negozio che vende biciclette. Sono tentato di fermarmi per fare dare una revisionata alla mia ruota posteriore, ma abbiamo troppa fretta di arrivare a Mantova. Decido di concedere ancora fiducia alla mia fedele Atala. E poi finalmente entriamo in città, costeggiando il fiume Mincio, che subito fuori dalle mura forma un lago, con tutte le barche di pescatori attraccate. Come al solito, la prima cosa che cerchiamo in città è una fontanella, dove finalmente possiamo sostituire il liquido torrido che riempie le nostre borracce con acqua fresca. Siamo in sella da sei ore, ed è tempo di fare una sosta un po' più lunga e di mettere qualcosa nello stomaco. Ci facciamo indicare le zone centrali, e andiamo ad acquistare una generosa porzione di pizza bianca, che mangiamo voracemente accompagnandola con dolcissime fette di ananas in scatola. Mi distraggo un attimo e quando mi giro di nuovo scopro che Claudio si sta bevendo avidamente il succo di ananas rimasto in fondo al barattolo. Faccio finta di niente, in fondo io ho scelto la parte di pizza più grossa. Una breve sosta ai bagni pubblici: è passata quasi un'ora da quando siamo arrivati in città, ed è tempo di ripartire.
 
Seguiamo le indicazioni per il lago, sempre verso nord. Subito dopo attraversato il Mincio un vistoso cartello indica la deviazione verso una pista ciclabile per Peschiera. Proprio quello che ci serviva, ne percorriamo qualche decina di metri con sempre minore convinzione, poi ci fermiamo a consultarci con un tipo. Come sospettavamo, il percorso non è altro che un itinerario paesaggistico, che procede a zig zag allungando di parecchio la strada, e diventando a tratti sterrato. Non ne vale proprio la pena, a malincuore torniamo sulla strada statale, in mezzo alle macchine. Il panorama è sempre lo stesso, interminabili distese di campi coltivati, una pianura sterminata si stende tutto intorno a noi, quasi delusi da un panorama così piatto, senza nemmeno una collina a variare la monotonia. Ancora non sappiamo di quanto, tra non molto, ci pentiremo dei nostri commenti impertinenti.
 
Un'altra quindicina di chilometri e poi arriviamo a Goito, che suscita in me reminiscenze del Risorgimento letto sui libri di storia. Più avanti passeremo vicino ad altri due luoghi storici, Solferino e San Martino, per non parlare di Peschiera che rimane per adesso la nostra meta più immediata. La bici sembra tenere, anche se il cerchione posteriore è chiaramente fuori asse. Non c'è modo di sistemarlo, ma se l'unico problema che mi dà è qualche occasionale contatto con il freno, allora possiamo proseguire tranquillamente. Sopperirò a questo handicap con il mio maggiore allenamento rispetto a Claudio, che però mostra inaspettate doti di resistenza, e sì che pedaliamo ormai da un centinaio di chilometri. Il sedere, nonostante la gommapiuma che lo separa dal durissimo sellino, comincia a dolermi, e posso solo immaginare quanto possa soffrire lui, che non ha nemmeno i pantaloncini rinforzati. Ogni tanto mi fermo a gonfiare la gomma posteriore, sospetto che sia bucata, ma evidentemente il foro è sufficientemente piccolo per darmi un'autonomia di qualche chilometro alla volta.
 
Anche nell'avvicinamento verso Volta, la nostra strada procede diritta sempre verso nord, ma all'orizzonte adesso mi sembra di scorgere qualche rilievo. Non è possibile, mi dico, siamo ancora in piena pianura Padana, e so bene che la pianura Padana è piatta come una tavola. Ci consultiamo brevemente e concludiamo che comunque la strada girerà in modo da evitare le montagne, che però sono sempre più vicine. E quando la salita comincia per davvero non possiamo fare altro che inserire il rapporto più morbido e spingere sui pedali. è una rampa particolarmente dura, davanti a noi un grosso camion con un carico di calcinacci scala rapidamente le marce, ma anche la prima non è sufficiente, e si pianta proprio a metà della scalata. Vorremmo assumere un'espressione beffarda mentre lo superiamo senza mettere piede a terra, ma sospetto che il nostro intento sia vanificato dalla stanchezza. E poi, come avevamo sempre saputo, comincia finalmente la discesa. Tra il nostro peso e quello della bici con portapacchi e zaini, ognuno di noi sfiora i cento chili, e, lanciati a tutta velocità, in pochi secondi arriviamo alla fine della discesa, toccando punte di settanta chilometri all'ora. Riconquistata la pianura, non abbiamo ancora perso l'abbrivio che proprio sul bordo della strada scorgiamo uno di quei potenti irrigatori per i campi, è in funzione e proprio mentre stiamo arrivando noi è orientato verso la strada. D'istinto mi sposto sulla sinistra, per evitare il getto, ma è Claudio ad avere l'intuizione: mi sorpassa e si butta sulla destra, rallentando per raccogliere meglio gli spruzzi. Dopo un attimo di esitazione, mi accodo alla sua ruota, dandomi dello stupido per non averci pensato per primo. La doccia fresca ci lava di dosso il sudore, e anche se ha infradiciato gli zaini era proprio quello che ci voleva. Non ho bisogno dell'incitamento di Claudio per invertire la marcia pochi metri dopo e farmi un altro giro. è l'ora più calda della giornata, e la frescura ci dà nuova energia, oltre a costituire l'episodio che ricorderemo con maggior piacere di tutto il viaggio. Parcheggiamo le bici al lato della strada e con un autoscatto immortalo la scena di noi che, in mezzo ai campi, riceviamo beati gli spruzzi argentei. Un ingrandimento di quella foto ora campeggia, incorniciato, su una parete di camera mia.
 
Non abbiamo con noi la carta stradale, ma sospetto che il nostro viaggio ormai volga al termine. Le indicazioni per Peschiera si fanno sempre più frequenti, e il nostro morale si alza sempre più, anche se la strada continua con i suoi saliscendi. Alla fine di una salita scorgiamo le prime case di un paese, e sprintiamo per gioco bruciando le nostre ultime energie. Non è Peschiera, è solo Mozambano, per arrivare sul lago di Garda mancano ancora quasi dieci chilometri. Adesso la nostra media è crollata sui 14 chilometri all'ora, e ogni metro, ogni pedalata sono una sofferenza in più. I muscoli delle gambe sono quasi del tutto svuotati di energie, procediamo ormai con la forza della disperazione. La strada continua implacabile a inerpicarsi su colline per poi sprofondare nelle vallate, e noi ormai non ci parliamo nemmeno più, tutto quello che desideriamo è arrivare finalmente a vedere le rive del lago. Da questa mattina pedaliamo con il sole alle spalle, le mie spalle non protette dalla canottiera e nemmeno da crema protettiva mi si sono arrossate in maniera indescrivibile, e quel che è peggio il segno della canottiera che delimita la schiena altrimenti pallidissima, resterà per tutta la durata della vacanza. Oramai è tardi per porre rimedio.
 
Succede tutto all'improvviso, un cartello ci avverte che stiamo entrando nel Veneto, superiamo il cavalcavia dell'autostrada e piombiamo su Peschiera. Gli ultimi dieci chilometri fino a Colombare sono una marcia trionfale, non un filo di salita e finalmente in direzione ovest. Addirittura a lato della statale ci sono le piste ciclabili. Quando, all'ennesimo sobbalzo, perdo per strada la piccola bottiglia d'acqua che usavo come borraccia di riserva, non ci fermiamo nemmeno a raccoglierla, abbiamo ritrovato le energie e le stiamo spendendo fino all'ultima briciola nell'eccitazione dell'arrivo. Il freno posteriore ormai mi stringe saldamente il cerchione, gli ultimi cento metri sono in salita, ma non ce ne accorgiamo neanche, li sorpassiamo tutti di un fiato, ed entriamo a Colombare come conquistatori. La casa di mio zio è appena dietro l'angolo, e arriviamo davanti al cancello con il sorriso sulle labbra. Sono le quattordici e cinquanta, abbiamo percorso centocinquanta chilometri in poco più di nove ore. Seduti su una panchina ci aspettano da parecchio tempo Frensis, Mauro e Walter, impazienti. Le chiavi della casa le avevo io, stupidamente avevo pensato che saremmo arrivati prima noi in bici che loro col treno. Sollevo la mia bici per superare il gradino del marciapiede e percepiamo distintamente il rumore di qualcosa che si spezza. Due raggi della ruota posteriore sono rotti, e proprio in quel momento la camera d'aria si sgonfia tutta d'un colpo con un lungo sibilo acuto. La mia fedele compagna non avrebbe potuto percorrere un metro di più.
 
Non importa. Abbiamo vinto noi, solo questo conta, e adesso siamo davvero imbattibili. Apro la porta di casa e ci buttiamo tutti e cinque sui letti a dormire sodo fino a sera.